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La posa infinita
Bruno Di Marino

Come in altri suoi video (Wahr, La Camera Chiara) anche nell’installazione La posa infinita Matarazzo lavora sul ritratto fotografico di archivio. Il lavoro è composto da un trittico che potrebbe ricordare un po' le pale d'altare quattro-cinquecentesche, con una scena centrale di gruppo e i ritratti a figura intera dei santi. In questo caso si tratta naturalmente di soggetti "profani", popolani del sud Italia che provengono dall'archivio Dorso di Avelllino e che proseguono non tanto una ricerca di carattere antropologico che l'artista ha intrapreso da diversi anni, quanto uno studio sulla fisiognomica e sull'evoluzione dei caratteri, delle tipologie antropomorfe. In questo senso più che riferirsi ad Ernesto De Martino, l'iconologia matarazziana trova una sponda piuttosto in Lombroso, cosa evidente anche in altre sue serie pittoriche del passato, come quella dei Freaks. Anche in questo caso Matarazzo utilizza il morphing non per ottenere delle macrotrasformazioni come negli altri suoi lavori video, bensì per muovere, animare, in alcuni casi quasi impercettibilmente, alcuni elementi all’interno della foto: un bambino che muove i piedi, un uomo che volta leggermente la testa, la smorfia di una donna, ecc. La posa infinita mette ancora una volta in scena lo scarto tra mobile/immobile che emerge dall’interfaccia cinema/fotografia, sotto le sembianze di un antico portrait di gruppo nel quale le figure immortalate riacquistano vita artificialmente mediante movimenti minimi e un suono ambientale che restituiscono all’immagine cristallizzata nel tempo, la sensazione di uno svolgimento “in diretta”. Ma il senso del lavoro sta proprio in questo attimo dilatato all'infinito rappresentato dall'attesa prima dello scatto. Il momento in cui il soggetto resta fermo, immobile per permettere - una volta ancora più di oggi - il tempo lungo dell'esposizione e dello scatto finale. Ecco l'abisso tra il mobile e l'immobile, la fotografia e il video. In questa sospensione, in questa attesa infinita, in questo macroscopico scarto temporale, l'osservatore affoga, si blocca anche lui a guardare i soggetti congelati. E' quasi come se la foto non si fosse ancora materializzata, come se l'artista - pur mettendo in scena un'immagine, una rappresentazione - ci mostrasse qualcosa che viene prima di qualsiasi immagine e di qualsiasi rappresentazione possibile. In questo senso il "tempo morto" della posa rende ancora più realistico lo stile dell'installazione, poiché lo avvicina alla vita reale. D'altro canto l'osservatore ha tutto il tempo per lasciarsi angosciare e inquietare da questi corpi e volti del passato, molti dei quali non esistono più, non sono in vita. E quindi di soffermarsi sui movimenti, altrettanto inquietanti, prodotti da questi fantasmi. Il realismo della fotografia ripensato e rielaborato attraverso una serie di movimenti impossibili del video e del morphing, rende La posa infinita, così come altri video di Matarazzo, qualcosa di totalmente onirico, una visione carica di tempo e di memoria, in cui la presunta allegria di un momento particolare, di festa, il mettersi in posa con il vestito buono, si rovescia nella disperata attesa di qualcos'altro. Probabilmente della propria morte.

(dal catalogo Milano Doc Festival 2007, ed. Doc Fest, Roma 2007)



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